Come ricercatori e
insegnanti di storia, il nostro ruolo principale consiste nell’elaborare e
trasmettere delle conoscenze rigorose sul passato. Esse risultano da un’analisi critica delle fonti
disponibili, e rispondono a delle domande finalizzate a comprendere meglio i
fenomeni storici e non a giudicarli. Ma gli storici non vivono in una torre
d’avorio. Dal XIX secolo il contesto politico e sociale ha giocato un ruolo
essenziale nel rinnovamento dei loro oggetti di studio. Le lotte operaie, il
movimento femminista, la mobilitazione collettiva contro il razzismo, l’antisemitismo
e la colonizzazione hanno incitato alcuni di loro a interessarsi agli «esclusi» della storia ufficiale, anche se la Francia è rimasta indietro
rispetto a questi mutamenti.
Vi è dunque uno
stretto rapporto tra la ricerca storica e la memoria collettiva, ma questi due
modi di comprendere il passato non possono essere confusi. Se è normale che gli
attori della vita pubblica siano inclini ad attingere dalla storia degli
argomenti che giustifichino le loro cause o i loro interessi, noi, in qualità
di insegnanti-ricercatori, non possiamo ammettere la strumentalizzazione del
passato. Dobbiamo sforzarci di mettere a disposizione di tutti le conoscenze e
gli interrogativi suscettibili di favorire una migliore comprensione della
storia, di modo da nutrire lo spirito critico dei cittadini, fornendogli al
tempo stesso degli elementi che gli permettanodi arricchire il proprio giudizio
politicoinvece di parlare al posto loro.
I problemi di memoria oggi
I tentativi
tendenti a mettere la storia al servizio della politica sono stati numerosi da
un secolo a questa parte. Il nazionalismo e lo stalinismo hanno mostrato che
quando gli storici e, più ampiamente, l’insieme degli intellettuali
rinunciavano a difendere l’autonomia del pensiero critico, le conseguenze non
potevano che essere disastrose per la democrazia. Nel corso dell’ultimo periodo
le manipolazioni del passato si sono moltiplicate. I «negazionisti», questi «assassini
della memoria» (Pierre VidalNaquet), hanno cercato di travestire la storia
della Shoah per servire le tesi dell’estrema destra. Oggi, il problema
principale concerne la questione coloniale. In parecchi comuni del sud della
Francia hanno fatto apparizione delle steli e delle targhecelebranti
le attività dell’OAS, che sono state nondimeno condannate dalla giustizia per
le loro attività antirepubblicane. Recentemente, il governo non ha esitato ad
adottare una legge (23 febbraio 2005) che esige che gli insegnanti insistano
sul «ruolo positivo» della colonizzazione.
Questa legge è inquietante non solo
perché è sostenuta da una visione conservatrice del passato coloniale, ma anche
perché traduce il profondo disprezzo del potere nei confronti dei popoli
colonizzati e del lavoro degli storici. Questa legge riflette una tendenza
molto più generale. L’intervento crescente del potere politico e dei media in
delle questioni di ordine storico tende a imporre dei giudizi di valore a
scapito dell’analisi critica dei fenomeni. Le polemiche sulla memoria si
moltiplicano e prendono una piega sempre più malsana. Alcuni non esitano a istituire dei macabri
albi d’onore, tendenti a gerarchizzare le vittime delle atrocità della storia, e
perfino a opporre tra loro le vittime. Si vedono anche dei militanti,
interessati a combattere le ingiustizie e le inuguaglianze della Francia
attuale, disporsi sul terreno dei loro avversari, confondendo le polemiche sul
passato e le lotte sociali di oggi. Presentare i marginalizzati della società
capitalista attuale come degli «indigeni della Repubblica», significa ragionare
sul presente con le categorie di ieri, significa lasciarsi intrappolare da
coloro che hanno interesse a occultare i problemi fondamentali della società
francese riducendoli a dei problemi di memoria.
Esistono molti
altri ambiti in cui gli storici sono confrontati a questi logici partigiani. La
moltiplicazione dei “luoghi di memoria” che denunciano gli “orrori della
guerra” o che celebrano “la cultura d’impresa” tende a imporre una visione
consensuale della storia, che occulta i conflitti, la dominazione, le rivolte e
le resistenze. I dibattiti di attualità ignorano i profitti della ricerca
storica e si accontentano, il più delle volte, di opporre un “passato” ornato
da tutte le virtù, a un presente inquietante e minaccioso: “Una volta, gli
immigrati rispettavano le “nostre” tradizioni perché si volevano “integrare”.
Oggi ci minacciano e vivono ritirati nelle loro comunità. Una volta, gli operai
lottavano per delle buone ragioni, oggi non pensano che a difendere degli
interessi “corporativi”, incoraggiati da intellettuali “populisti” e
irresponsabili”.
Ne abbiamo
abbastanza di essere costantemente obbligati a redigere dei bilanci sugli
aspetti “positivi” o “negativi” della storia. Ci rifiutiamo di essere
utilizzati al fine di arbitrare le polemiche sulle “vere” vittime delle
atrocità del passato. Questi discorsi non tengono conto né della complessità
dei processi storici, né del ruolo reale che hanno giocato gli attori, né dei
problemi di potere del momento. In fin dei conti, i cittadini che si
interrogano su dei problemi che talora li hanno (loro o la loro famiglia)coinvolti
in prima persona sono privati degli strumenti che gli permetterebbero di
comprenderli.
La necessità dell’azione collettiva
La necessità dell’azione collettiva
È vero che una
buona parte di noi ha lanciato da molto tempo l’allarme sui libri o sugli articoli
di giornale. Ma queste reazioni individuali sono oggi insufficienti.
L’informazione-spettacolo e l’ossessione dell’auditel spingono costantemente al
rilancio, valorizzando i provocatori e gli intrattenitori pubblici, a scapito
degli storici che hanno realizzato delle ricerche approfondite prendendo in
conto la complessità del reale. Per resistere efficacemente a queste aziende,
bisogna dunque agire in maniera collettiva. È la ragione per la quale noi
chiamiamo tutti quelli che non vogliono che la storia sia data in pasto agli
imprenditori di memoria a unirsi al nostro Comitato di vigilanza. Due ambiti di
riflessione e di azione ci sembrano prioritari:
- L’insegnamento della storia. Il dibattito attuale sulla storia coloniale illustra un malessere molto più generale concernente l’insegnamento della nostra disciplina e l’enorme scarto che esiste tra i progressi della ricerca e il contenuto dei programmi. Bisognerebbe cominciare dallo stabilire un inventario per ridurre il fossato tra ricerca e insegnamento, riflettere su un’elaborazione più democratica e trasparente dei programmi, perché le differenti correnti della ricerca storica siano trattate in modo equo.
- Gli usi della storia nello spazio pubblico. Va da sé che il nostro ruolo non è di spadroneggiare sulla memoria, noi non ci consideriamo gli esperti che deterrebbero la Verità sul passato. Il nostro scopo è unicamente quello di fare in modo che le conoscenze e gli interrogativi che noi produciamo siano messi a disposizione di tutti. Per questo bisogna aprire una vasta riflessione sugli usi pubblici della storia e proporre delle soluzioni che permetteranno di resistere più efficacemente ai tentativi di strumentalizzazione del passato.
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